Partirò da una frase detta e ripetuta da Joseph Beuys durante le sue interviste, performance e opere: “ogni uomo è un artista”.
Nell’epoca in cui il mondo si è ricostituito in una nuova Pangea, in cui i continenti sono ormai connessi non solo digitalmente ma proprio fisicamente con l’annullamento delle distanze grazie ai nostri “dispositivi” mobili che annullano la deriva dei continenti, ogni uomo, proprio perché uomo, si muove in maniera creativa inventando il mondo. E artista perché pensa, modella e plasma il mondo, secondo appunto il suo pensiero attraverso le sue azioni. Nel suo lavorìo insomma, come dice Beuys, costruisce il mondo sociale.
“Una rivoluzionaria presa di coscienza” è lo slogan dell’edizione 2019 di #cuoredinapoli, un laboratorio della scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e assomiglia molto a “la rivoluzione siamo noi” di Joseph Beuys(2) e descrive bene il lavoro che svolge nei quartieri di “periferia di senso” di Napoli, annodando relazioni e costruendo territori comuni, terre condivise, con una consapevolezza in più: la certezza che ogni individualità deve passare per il noi.
Una Pangea, dicevo, che non è fatta di nessuna misura conosciuta ma di un mondo multidimensionale dove non ha più senso la superficie, l’altezza o la profondità ma solo la capacità di legare insieme relazioni e snodi dove far fluire pensieri, azioni e modalità comuni.
Perfino in questo momento, colpiti da una pandemia che ci limita negli spostamenti e negli affetti si registra una ulteriore proliferazione dei rapporti anche se sotto la forma digitale.
E gli artisti da sempre si misurano con la forma. E con il contenuto.
In questo contesto l’urgenza da parte di taluni, tra cui chi scrive, è di mettere in crisi l’idea dell’artista come il creatore, unico possibile, detentore della visione ultima e ritornare alla funzione sociale proponendosi come agglomeratore o come acceleratore della dimensione pubblica e sociale.
il disorientamento umano in questo momento in cui non abbiamo le idee chiare alimenta le paure ma sta nascendo un’altra consapevolezza che riconosce l’interdipendenza e il primato dell’azione collettiva.
Infatti, nonostante chiusi nei nostri appartamenti, siamo diventati, tutti, un popolo di migranti che si stanno spostando in massa da un mondo ormai devastato che sta spingendo l’intera umanità drammaticamente, come solo una migrazione può fare, nel mondo nuovo.
La trasmissione culturale di cui parla la Treccani associata all’uomo e alla sua abilità “… capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i propri fini, e come tale soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico…” sono gli strumenti a cui dobbiamo fare ricorso ancora una volta ma, questa volta, agendo con oculatezza alla luce delle esperienze che, come specie, ormai abbiamo acquisito.
L’ uomo migrante che crea “sculture” fatte di una materia i cui componenti sono tenuti assieme da una sostanza immateriale, la relazione, si propone di sondare e praticare modalità che facciano dialogare il soggetto con la collettività e che spostino finalmente l’attenzione da “l’oggetto” artistico semplice veicolo commerciale alla vera funzione dell’arte che è sempre stata legata alla crescita della collettività, ora nel nuovo millennio, attraverso un’intelligenza “connettiva” come la definisce Derrick de Kerckhove(3) (parafrasando “l’intelligenza collettiva” di Pierre Levy(4)), che trovi nel modello della rete e dei bit quei meccanismi che riprodotti nel mondo degli atomi getti le basi per la costruzione di un’umanità plurale ma connessa a livello planetario.
Noi migranti del nuovo millennio ci porteremo nella nostra valigia alcune consapevolezze:
Per esempio adesso sappiamo che, a quelle leggi che regolano il mondo, noi non possiamo sottrarci.
Per esempio adesso sappiamo che la tecnologia ci aiuta, per esempio in un periodo di pandemia, ma non sostituisce le relazioni umane, quelle fisiche dell’incontro.
Per esempio adesso sappiamo che l’operosità del fare rende dignità all’uomo e in qualche modo lo spiega. Spiega ad ogni uomo la sua missione e gli da un senso il suo attraversare il mondo.
Per esempio adesso sappiamo che abbiamo bisogno di metterci insieme per cambiare il mondo e che il mondo con un’operazione collettiva si può indirizzare verso pratiche più consapevoli nell’ambiente che ci circonda spingendo i governanti a fare la cosa giusta.
Per esempio sappiamo che le competenze devono essere mischiate, che non è possibile far prendere decisioni ad un solo individuo o ad una sola regione o ad un solo stato.
Per esempio sappiamo che abbiamo voglia di cambiarlo questo mondo a partire dal sogno, dalla visione, dalla speranza, dall’ambizione che un’utopia è possibile. La creazione di un sol popolo e di una sola terra.
Per esempio adesso sappiamo che “il diritto acquisito” ad una vita molto sopra le possibilità, di una parte dell’umanità in percentuale molto piccola, come quella del secolo scorso è insostenibile. Il diritto a depauperare l’80 per cento delle risorse della terra da parte del 30 per cento della popolazione è un crimine.
Per esempio adesso sappiamo che dobbiamo salvare il pianeta e che gli strumenti o meglio le regole o meglio i comportamenti, ci sono, sono possibili e auspicabili.
La creatività dell’uomo, per tornare a Beuys, adesso non potrà fare a meno delle lezioni che ci vengono dal novecento, dall’esperienza che come “specie” abbiamo sperimentato e facendo tesoro degli errori commessi portarsi, nella valigia del nostro vissuto, anche quella cosa che non è mai stata superflua: la macchina a vapore. Il nostro cuore.