La scuola e il profitto, diritto al divenire.

discoteca aula universitaria

LA SCUOLA E IL PROFITTO,
DIRITTO AL DIVENIRE

7 Luglio/ COVID-19

Tempo di lettura: 3 minuti

Non fare aprire le scuole è una scelta di tipo politico che da priorità a ciò che crea profitto economico. Valgono più 100 ragazzi in discoteca o 100 ragazzi in un’aula universitaria? 

Una discoteca con 100 ragazzi che ballano e consumano drink vale più di un’aula universitaria con 100 ragazzi che seguono una lezione. Perchè?

Ciò che richiede l’istruzione è qualcosa per cui non vale la pena lottare a quanto pare, il futuro. Investire nella formazione non produce risultati immediati. Non produce materia di consumo istantaneo, non produce. Siamo ad un tracollo ambientale, sociale e culturale ma ciò che conta (sempre e comunque) è il fatturato, la somma di ricavi ottenuti dal paese alla fine dell’anno. Investire nella morale, nell’istruzione e nella costruzione di un pensiero etico è materia di interesse per pochi. 

Come studenti siamo fermi nelle nostre case, a metà tra una formazione che ha perso ogni forma di contatto umano e relazionale e una situazione economica che ci costringe a rimboccarci le maniche per far fronte ad un bilancio economico familiare tragico. Ma non stiamo in silenzio, siamo ammutoliti, incastrati in/da un intricato meccanismo sociale che ci reputa inadatti al lavoro, al rivendicare diritti e avanzare proposte. 

Toglierci/fermare anche l’istruzione significa dare vantaggio ad un pensiero in cui, ciò che conta è produrre e non formare, consumare senza rinnovare, eseguire senza obbiettare. Significa avvantaggiare un pensiero indotto, che non ha spazio di riflessione; rende frammentata la comunità di studenti, separandoli gli uni dagli altri, soli nei loro pensieri, negargli l’accessibilità al confronto e al pensiero collettivo. Significa lasciare spazio ad un popolo che non pensa.

discoteca aula universitaria
FluxH24 #PUNTATAZERO

Come possiamo rivendicare il diritto al divenire? Rivendicare una crescita, una formazione, lo sviluppo di un pensiero che prevede al suo interno prima del profitto, un investimento? 

E’ stato dunque impossibile fermare la didattica, fermare il pensiero di una comunità legata imprescindibilmente alla polis perché campo di azione e di pratica del laboratorio stesso. Il laboratorio ospite all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Napoli ha chiuso le sue porte come tutti gli atenei e le accademie italiane, costretto dall’emergenza sanitaria. Si è dovuto trasformare in qualcosa che andasse ben oltre le semplici lezioni frontali online. Gli spazi fisici hanno subìto una traduzione (di senso) in spazi virtuali, dando vita a progetti come flux h24. Parliamo di una stanza online, aperta 24 ore su 24 e accessibile a tutti, che ha reso la piattaforma zoom una piazza virtuale fatta per ospitare tutti gli oltre 200 studenti del laboratorio e chiunque avesse voglia di accedere al link reso pubblico sulle pagine social. Si tratta di uno spazio libero di sperimentazione, sempre frequentato, un’installazione virtuale, che muta e assume diverse funzioni a seconda delle necessità: incontri, lezioni, workshop e spazio per gli eventi virtuali come @invito al viaggio, proprio come il laboratorio fisico permetteva. 

la tecnologia non basta, ma se c’è solo quella allora meglio insieme 

@Nuove tecnologie dell’arte 

La tecnologia non basta, ma se c’è solo quella allora meglio insieme. Uno slogan che rappresenta al meglio il concetto di andare oltre la tecnologia e oltre l’ asettica didattica online. Far fronte all’emergenza senza lasciare da parte l’empatia e la relazione con gli altri, elementi attivatori di crescita e formazione: morale, etica e intellettuale. 

 

Maggio 2020 - Laboratorio di Nuove Tecnologie dell'Arte, Accademia di Belle Arti di Napoli

Se non ci sono spazi li creiamo, se le università, le accademie vengono chiuse fisicamente non significa che anche le nostre menti debbano ritrovarsi nello stesso stato. Ad oggi rivendichiamo spazi e strutture ma se privati degli stessi, li andiamo a trovare e riorganizzare in un luogo che ancora è libero, la rete. 

Siamo quindi qui a schierarci dalla parte della formazione che produce comunità, che crea profitto a favore di tutti, una formazione che spinge ad una visione ad ampio raggio e non settorializzata, per dare spazio a pensieri nuovi, fatti di persone che conservano un’umanità, che guardano al futuro come elemento di cui prendersi cura.

7 Luglio/ COVID-19
Jenny Sibio
disintegrati

casa

Casa

30 Aprile/ COVID-19

Tempo di lettura: 4 minuti

Non avrei mai immaginato di vivere una Pasqua chiuso nelle quattro mura di una casa che neanche mi appartiene, essendo fuori sede. Data la gravità della situazione è stato chiesto a tutti di rimanere serrati in casa, lo stesso luogo che attraversiamo ogni giorno, ma che alla fine mi chiedo: quanto lo viviamo realmente? L’urgente richiesta di rimanere in casa per far fronte a questa pandemia globale che prende il nome di Covid 19 mi apre ad una riflessione sul concetto stesso di casa e di cosa significhi in questo momento. 

Un luogo, uno spazio, un confine, termini che si riempiono di due significati ambivalenti. Da una parte, la casa racchiude in sé il concetto di protezione nei confronti dell’imponente pandemia propagatasi al di fuori di essa, dall’altra fa emergere a chi l’attraversa, sensazioni di oppressione e spaesamento date dal netto distacco che si ha con l’esterno.

L’abitazione, mai come adesso, ci tiene a stretto contatto con noi stessi, ci dà la possibilità di attraversarci e di vivere, non sopravvivere. Le camere che la compongono, diventano il riflesso materiale degli ambienti che abbiamo costruito dentro di noi.

Ogni istante, ogni azione, assume un approccio contemplativo, ci si immerge nell’operare, con il tentativo di colmare i vuoti creati dalla noia, di un tempo che sembra essersi fermato dandoci così la possibilità di goderci il cammino. Guardare un film, leggere un libro e altre azioni del quotidiano, portano alla luce una nuova modalità, un nuovo approccio di vivere le cose, o almeno ce lo suggeriscono. Contrariamente a ciò che accade all’esterno, dove un mondo che privilegia il prodotto, costringe l’individuo ad un’accelerata esorbitante con il fine ultimo di accorciare le distanze che lo dividono dal risultato.

Divorare il tempo, minimizzare l’attraversamento e dimezzare l’esperienza dell’azione, sono tutte conseguenze che portano a domandarmi: quanto può realmente definirsi vivere?

La casa diventa la maggior estensione del nostro corpo, mai stata così intima, è custode per gli occhi di chi se ne prende cura, di un sentimento importante: il volersi bene. La bilancia che regola i rapporti all’interno di essa necessita di una calibrazione costante che la setti al meglio della sua sensibilità, le fragilità portate in superficie da un galleggiante fatto di paure, costringono i suoi abitanti ad abbassare ogni tipo di barriera e ad immergersi nella più totale empatia, che diventa dichiarazione di armistizio per una pacifica convivenza. 

I compromessi sono all’ ordine del giorno, le sfaccettature più ingombranti e dure che fanno parte di noi e ci rappresentano, vengono necessariamente ridimensionate così da far spazio a quelle dell’altro. I naturali principi che dovrebbero regolare i rapporti, ai fini di una giusta convivenza nella vita di tutti i giorni, danno alla scelta di essere adottati, poco respiro, per garantire la sopravvivenza dell’individuo. Poco respiro alle scelte. Il periodo che stiamo attraversando infatti, richiede a gran voce un cambiamento, è arrivato senza un reale preavviso, solo con alcuni segnali che ci riconducono ad una non cura della nostra immensa dimora, il mondo. Il virus come un’estesa scossa è arrivato, ha creato crepe, ha rotto alcuni arredi, mettendo a dura prova e rendendo visibili le fragilità delle mura che sostengono l’ambiente sicuro; che ognuno di noi con fatica, ha costruito dentro di sé. 

Tutto è accaduto velocemente, in una frazione di tempo mai precisamente identificata. Una scossa che è stata capace di creare un urto, più mentale che fisico, da cui deriva un trauma che produce modifiche senza tener conto della possibilità di scelta.

Così ci segna, non lascia scelta, il passaggio è necessario quasi obbligato, non si torna più indietro. Alcuni muri hanno ceduto, altri hanno solo delle crepe, mentre le fondamenta vanno revisionate, ma sono ancora lì. Ed è proprio da qui che si parte, ed da qui che si iniziano ad esplorare nuovi angoli, nuovi spazi mentali e fisici. L’inutile sforzo, nel tentare di sorreggere quelle pareti che non sono più consone ad un nuovo terreno che le dovrà accogliere, ci apre gli occhi verso un passaggio, doloroso ma necessario. Decidere quali pareti tenere e quali lasciar cadere nella riprogettazione di noi stessi.

La casa, quella che risiede in noi, diventa unico punto fermo che ci aiuta ad orientarci nel caos, ed è da qui che dobbiamo partire. Ognuno è chiamato a ridimensionare, plasmare e riadattare quelle mura che per molto tempo ci hanno dato certezze. Abbiamo il dovere di progettare con lo sguardo rivolto all’orizzonte, consapevoli del fatto che ognuno di noi è, e sarà, artefice di quel paesaggio che ora stiamo immaginando.

30 Aprile/ COVID-19
Gianluca Pavoncello
disintegrati

Non bisogna avere paura

NON BISOGNA AVERE PAURA

25Aprile/ COVID-19

Tempo di lettura: 3 minuti

Dopo un primo momento di grande spaesamento cresce, come convinzione collettiva, che qualcosa può veramente cambiare, che qualcosa si può veramente fare e non bisogna farsi trarre in inganno o scoraggiare da chi ci dice che il traguardo è inarrivabile, che le cose sono più grandi di noi. 

Non bisogna dimenticare che i traguardi sono punti di arrivo e come tali sono preceduti da tanti piccoli passaggi. Bisogna allora puntare a quelli, concentrarsi su quelle azioni del nostro quotidiano che possono produrre cambiamento, riferirsi al nostro circondario, al nostro ambiente lavorativo, familiare, amicale, intervenire dove il nostro piccolo raggio di azione può produrre positività.

A volte siamo scoraggiati dalle notizie che ci arrivano da ogni parte del mondo, che ci fanno rabbia, che ci fanno sentire impotenti, che limano ed appiattiscono quegli slanci, anche solo mentali, che con fatica cerchiamo di costruire giorno per giorno, che cerchiamo di organizzare, condividere, nel tentativo di portare a frutto un’altra giornata vissuta. Ogni giorno ci sono avvenimenti, pensieri, azioni che ci deviano dai nostri buoni propositi, che ci portano per vie laterali, minori, che ci allontanano dalla via maestra. Paradossalmente è in quelle vie laterali che si lavora meglio, che si trova il terreno fertile, nei controviali del mondo si possono incontrare persone che si ritrovano a pensare con una velocità diversa.

 

Concentrarsi su quelle azioni del nostro quotidiano che possono produrre cambiamento.
Omar Esposito
mixed

Bisogna fare autocritica

Ci governiamo a mezzo di una classe dirigente dalla quale non ci sentiamo rappresentati ma, contemporaneamente, snobbiamo qualsiasi coinvolgimento nella vita politica, e più la snobbiamo e meno ci sentiamo rappresentati. Ma allora mi si potrà dire che credo ancora nella politica?! Sicuramente credo che l’organizzazione e l’amministrazione dello stato e della vita pubblica (che è la definizione etimologica di politica) attenga al cittadino e sia un suo dovere promuoverla e attuarla. Se poi per farlo non ci sia più bisogno di un establishment questo sinceramente non lo so. Mi risulta comunque difficile immaginare, per formazione o età, una società completamente apolitica.

Bisogna essere coraggiosi

Spesso sentiamo dire che un nuovo modello economico non sia possibile perché il mondo ormai viaggia a una velocità tale che qualsiasi cambiamento di rotta sarebbe disastroso e che potrebbe avere ricadute su questo o su quello. Personalmente penso che questa quarantena ci abbia insegnato più di quanto quel mondo che corre abbia fatto finora. Nulla è impossibile, bisogna cominciare a pensare e agire in maniera differente. I modelli economici e culturali arriveranno e si plasmeranno sulle nostre nuove sollecitazioni ed esigenze. Bisogna pensare differentemente e direzionarsi alla ricerca della felicità, con il principio che la nostra felicità è incompleta e inutile senza quella degli altri. Bisogna rischiare, rimetterci qualcosa, ognuno ha la propria parte da fare.

Se da questa esperienza dovessi scegliere una cosa da portare e una da lasciare, insieme a un uso consapevole della tecnologia, che ha del tutto azzerato le paure dello screen time, con me porterei sicuramente il tempo del pensiero che, lontano dai ritmi quotidiani, ho ritrovato. Lascerei dietro di me il silenzio, le discussioni senza il rumore d’ambiente, le risate senza l’audio, i vocii, tutte vittime dell’ordinato ed educato uso del microfono. 

Benché non sia del tutto consapevole della direzione intrapresa, sono molto fiducioso sul nostro futuro (insieme), e per questo gelosamente difendo una mia certezza incrollabile: la felicità è dentro di noi ma sopratutto tra di noi. 

25 Aprile/ COVID-19
Omar Esposito
mixed

Nella terra di mezzo – come faremo arte nel nuovo mondo?

didattica coronavirus

Nella terra di mezzo

Come faremo arte nel nuovo mondo?

11 Aprile/ COVID-19

Tempo di lettura: 3 minuti

I dati e le informazioni raccolte finora e messe per iscritto sono, già da questo momento, non più valide o almeno non inquadrano già più il panorama che avevano il compito di descrivere accuratamente. Le cose cambiano di minuto in minuto e noi ci siamo trovati a raccontare un modello didattico che attualmente ha dell’impossibile nell’essere replicato, in questo momento è addirittura illegale.

L’aggregazione di cui parliamo, diventa assembramento, un termine con accezione negativa. In questo momento della frase appena scritta mi soffermerei sul verbo diventa, sul concetto del passaggio, la transizione da una cosa ad un’altra, così mi sembra giusto fare. Non pensare al prima, non inquietarmi sul dopo ma capire come fare nel durante. Abbiamo pochi dati utili alla mano, abbiamo un passato fatto di un modello e di una metodologia che ci ha avvisato, preparato al mutamento continuo della nostra piccola comunità. Sul costruire un pensiero dato dalle informazioni raccolte direttamente dall’esperienza fatta su campo, sull’accogliere gli imprevisti e trarne vantaggio, sull’elaborare un’azione artistica che non smette mai di confrontarsi con la contemporaneità di cui è parte. 

didattica coronavirus

Ma quando la mutazione ha lo stesso effetto di un’amputazione in larga scala che compromette non solo la vita della nostra piccola comunità ma quella di tutti, che succede? Quali sono le nuove regole della contemporaneità?

Il mondo ci ha costretti ad una modifica, ad un passaggio da un’era fisica e analogica ad un’era digitale e virtuale, ci sta facendo migrare altrove e fa richieste ben precise. Bisogna preparare un bagaglio a mano, fatto del nostro passato storico, del modello didattico che avrà bisogno di nuove fondamenta e di consapevolezze riconosciute in questo momento di riflessione mondiale. Il passaggio non sarà visibile ad occhio nudo, dovremo coglierlo con una buona preparazione mentale e ci immergeremo nel mondo nuovo. Siamo fortunati: conosciamo già la costanza il rigore e la disciplina, conosciamo le trasformazioni e i cambi di rotta improvvisi. In tutti questi anni ci siamo preparati per una migrazione ed ora è arrivata ma in una modalità che che non avremmo mai potuto immaginare. Abbiamo fatto in tempo a raccogliere i testi e i pensieri di un’era passata, che parlano di una didattica non più replicabile, di un’opera che forse non avrà più il suo momento catartico in un evento sociale affollato e di un artista in mezzo alle masse. Abbiamo raccolto tutto il nostro “Fare” che mette in mostra l’evoluzione e l’adattamento continuo che ha affrontato la nostra ricerca artistica, che mette in evidenza un metodo, un modo di pensare e agire e non cose costruite.

Lo abbiamo fatto con uno spirito diverso, non ancora travolto dalle ansie da cambio di programma, da stravolgimento dei piani. Ma siamo pronti a mettere un punto? In grammatica si usa un punto e virgola. Adesso nel durante, abbiamo la responsabilità intellettuale di prendere coscienza di quello che avverrà e immaginare scenari futuri, di conoscere il presente per affrontarlo con la libertà di chi ha la conoscenza intellettuale e la forza propulsiva della bellezza insita in chi si muove sotto la lente dell’arte. Dunque servono nuove coordinate per un’inversione di rotta, abbiamo il coraggio di leggere i segni e proporre una direzione?

11 Aprile/ COVID-19
Jenny Sibio
disintegrati

Qui e ora

QUI ED ORA

22 Aprile/ COVID-19

Tempo di lettura: 5 minuti

Oggi più che mai abbiamo sentito la necessità di scegliere con cura, parole capaci di costruire un discorso che parlasse di essere umani, di relazioni e di tecnologia, di errori e di consapevolezze, di visioni e di arte. Una forte necessità di mettere insieme sia i pensieri che le intenzioni, consapevoli però che questo discorso si allontana dall’avere un punto finale rimanendo aperto al tempo che stiamo vivendo, alle sue modificazioni e con il tempo muterà.

Il Covid-19, virus che in questo momento storico sta mettendo tutti noi a dura prova stravolgendo abitudini ed economie, ribaltando priorità e forzandoci ad un rallentamento, sfida il nostro senso di adattabilità a verbi come: fermare, ascoltare, comprendere. Qualcosa di diverso rispetto qualsiasi altra cosa che ognuno di noi abbia mai sperimentato e che prevede un “dopo” complesso e articolato che apre le porte ad un nuovo scenario che invita a ripensare non solo sè stessi ma ripensarsi anche in rapporto all’altro, al territorio e al mondo. La domanda giusta in questo senso non è cosa accadrà a termine di questa parentesi illusoria, ma cosa sta già accadendo e in che portata il nostro atteggiamento, da singolo individuo, sta avendo un impatto su scala globale.
Il futuro che tutti noi stiamo continuando a costruire ad una velocità di rete inadatta a contenerci, videochat dopo videochat, informazione dopo informazione è il vero punto centrale di questo momento storico e se l’artista è colui che ha il dovere di mostrare la direzione, tutto questo diventa ancora più complesso quando il presente muta la propria forma di minuto in minuto . Allora il ruolo dell’artista, ancora di più in questo momento, forse è quello di svelarne il significato, di renderlo comprensibile in modo che ogni azione compiuta, non si perda nel flusso degli eventi ma possa essere reiterata nel tempo, con consapevolezza.

Il Covid-19, virus che in questo momento storico sta mettendo tutti noi a dura prova stravolgendo abitudini ed economie, ribaltando priorità e forzandoci ad un rallentamento, sfida il nostro senso di adattabilità a verbi come: fermare, ascoltare, comprendere. Qualcosa di diverso rispetto qualsiasi altra cosa che ognuno di noi abbia mai sperimentato e che prevede un “dopo” complesso e articolato che apre le porte ad un nuovo scenario che invita a ripensare non solo sè stessi ma ripensarsi anche in rapporto all’altro, al territorio e al mondo. La domanda giusta in questo senso non è cosa accadrà a termine di questa parentesi illusoria, ma cosa sta già accadendo e in che portata il nostro atteggiamento, da singolo individuo, sta avendo un impatto su scala globale.
Il futuro che tutti noi stiamo continuando a costruire ad una velocità di rete inadatta a contenerci, videochat dopo videochat, informazione dopo informazione è il vero punto centrale di questo momento storico e se l’artista è colui che ha il dovere di mostrare la direzione, tutto questo diventa ancora più complesso quando il presente muta la propria forma di minuto in minuto . Allora il ruolo dell’artista, ancora di più in questo momento, forse è quello di svelarne il significato, di renderlo comprensibile in modo che ogni azione compiuta, non si perda nel flusso degli eventi ma possa essere reiterata nel tempo, con consapevolezza.

Proprio questa situazione apre di fatto ad una grande riflessione che passa attraverso parole importanti come costanza, rigore e disciplina ma anche comprensione, empatia e adattabilità. Parole che ogni giorno, con fatica, abbiamo la necessità di praticare non solo in previsione di nuovi scenari ma soprattutto per comprendere sempre di più le motivazioni e le cause che ci hanno condotto fino a qui. Come artisti siamo studiosi. Come artisti sappiamo che è nel processo che risiede la crescita ed ora che ci troviamo nel pieno di un processo globale, di cui sono ben visibili tutti gli errori, le mancate comunicazioni e difficoltà, il nostro compito è di affrontarlo prendendoci, ognuno, il proprio carico di responsabilità con la consapevolezza che d’ora in avanti faremo fronte a questo nuovo scenario, forse meno rigido e più sensibile.

Di fronte ore iniziali di videochat ci siamo sentiti inadatti ma siamo diventati più consapevoli rispetto delle urgenze necessarie a farci sentire umani, come l’urgenza di contatto e di
comunità. Le cose ancora una volta stanno cambiando la propria forma e questo ci invita a ripensare non solo le relazioni ma spostandoci alla radice di questo periodo, forse carico di opportunità nascoste, di ripensare le parole e i linguaggi rendendoci ora più che mai consapevoli della loro duttilità. Abbiamo dunque bisogno di ripensare i nostri strumenti o meglio ancora il tempo che li attraversa. Quello che ci sembra un tempo sospeso viaggia in realtà ad una velocità notevole e si estende tramite la rete, di casa in casa, città in città, paese in paese sorvolando confini per un aumento dei consumi di internet che sfiora il 90% su rete fissa e il 30% su quella mobile dall’inizio della crisi ad oggi.

Di fronte ore iniziali di videochat ci siamo sentiti inadatti ma siamo diventati più consapevoli rispetto delle urgenze necessarie a farci sentire umani, come l’urgenza di contatto e di
comunità. Le cose ancora una volta stanno cambiando la propria forma e questo ci invita a ripensare non solo le relazioni ma spostandoci alla radice di questo periodo, forse carico di opportunità nascoste, di ripensare le parole e i linguaggi rendendoci ora più che mai consapevoli della loro duttilità. Abbiamo dunque bisogno di ripensare i nostri strumenti o meglio ancora il tempo che li attraversa. Quello che ci sembra un tempo sospeso viaggia in realtà ad una velocità notevole e si estende tramite la rete, di casa in casa, città in città, paese in paese sorvolando confini per un aumento dei consumi di internet che sfiora il 90% su rete fissa e il 30% su quella mobile dall’inizio della crisi ad oggi.

Nel momento che ci vede più distanti che mai, siamo anche più connessi che mai: siamo migranti. Questo ci ha permesso di ampliare, per necessità, i nostri spazi mentali e di pensiero a fronte di costrizioni fisiche di spazio. Siamo nel pieno di un rallentamento fisico ma nel pieno di un’accelerazione di pensiero che ora necessita di una maggiore quantità di tempo per sedimentare. Siamo nel pieno di un processo di rivalutazione che sta investendo ogni campo e a cui dobbiamo far fronte partendo da tutti gli strumenti che conosciamo, spingendoli oltre le proprie potenzialità, unendo, avendo cura e sostenendo. Ancora una volta dobbiamo cominciare da dove siamo, non possiamo permetterci di tornare indietro, ora è il momento.

22 Aprile/ COVID-19

Non posso tornare indietro

non posso tornare indietro

Non posso tornare indietro

3 Maggio/ COVID-19

Tempo di lettura: 4 minuti

È avvenuto lo strappo, l’ho proprio sentito: TRACK! Presa coscienza e consapevolezza di una situazione, non puoi fingere. Crisi, è il nome che il più delle volte si da ad una situazione di questo tipo.

Ma mi correggo: si potrebbe fingere, ma io non posso. Una decina di anni fa ho promesso a me stessa di essermi fedele sempre. Qualcuno ha sentito subito il suono dello strappo; qualcun altro dopo poco. Forse c’è chi non lo sentirà mai. Alla fine del secondo mese di quarantena, mi rendo conto che l’essere umano si è adattato ancora una volta ad una nuova ambientazione, a dei nuovi tempi e a dei nuovi pensieri. O forse erano sempre stati lì, nello scrigno del nostro io? Questa storia del COVID-19 sancisce un momento di rottura globale. Abbiamo imparato a fermarci, il che ci ha permesso di vedere chiaramente quel che siamo, quello che ci circonda. Abbiamo avuto modo di ascoltare gli altri e noi stessi. Puoi fingere di non aver visto nulla, in effetti, e sperare che nulla sia cambiato di quello stile di vita a cui hai tanto lavorato. A quelle abitudini che ti rendono sicuro della tua vita. Ma io sono convinta che, dopo aver visto, bisogna agire. Altrimenti a che serve vedere?
In realtà nutro una piccola speranza di un piccolo cambiamento individuale, in ognuno di noi. L’aumento costante verso un’interesse spirituale stava già avvenendo: sempre più persone provano a ritagliare uno spazio per la spiritualità nella propria routine accelerata. Malgrado le buone intenzioni, però, la spiritualità non si può aggiungere alla vita come il sale su una pietanza, senza cambiamenti sostanziali. In che modo voglio stare al mondo? Io non voglio più indossare i panni del connivente. La coscienza individuale dovrebbe viaggiare pari passo ad una coscienza collettiva. Non possiamo essere da soli perché ogni cosa co-esiste: ogni cosa contiene tutto il resto ed ognuno di noi è responsabile di tutto quello che accade intorno a noi. Ma qual è il problema in questo caso? Imprigionati nel nostro piccolo io, siamo affaccendati a pensare solo al suo benessere, non curanti della distruzione del nostro sé comune.

THICH NHAT HANH SUGGERISCE QUESTA VISIONE: SE LA TERRA FOSSE IL VOSTRO CORPO, SENTIRESTE DOV’È CHE LE FA MALE. DOVREMMO ESSERE SOLE, IL NOSTRO CUORE ESTERNO; DOVREMMO ESSERE LA FORESTA, I NOSTRI POLMONI ESTERNI; DOVREMMO ESSERE OGNI ELEMENTO DELLA NATURA PER POTER CAPIRE A FONDO E REGALARCI UN FUTURO.

Il problema che affrontiamo non è solo il capitalismo in sé, è anche il capitalismo in me, ha scritto nel primo mese di lockdown Angel Luis Lara. E, tra le tante parole sfornate durante la quarantena, questa echeggia ancora forte dentro di me. La democrazia si basa sul dissenso e questo momento di obbedire in cui viviamo può essere pericoloso: non bisogna obbedire passivamente, bensì bisogna discutere su cosa fare o non fare di quelle regole che vengono pronunciate. L’avanzata di un totalitarismo (che non ha mai smesso di muovere il terreno) non è molto lontana o assurda come possibilità futura. Dopo una guerra, l’entusiasmo di fare e di cambiare è molto forte; dopo un’epidemia ci si interroga sulla morte e c’è diffidenza tra gli esseri umani. Il panico, la minaccia biologia, la crisi economica e possiamo contare anche il razzismo, i movimenti di emigrazione, la lotta contro il diverso che non si è mai arrestata. Manca solo il fiocco al pacchetto. E forse già c’è: i sistemi di sorveglianza per fronteggiare altre e nuove epidemie.
non posso tornare indietro
Ed è per questo che auspico lo sviluppo di un pensiero critico, in grado di rendere responsabili ed autonomi (nel pensiero) ogni cittadino. Mi piace pensare ad una sorta di obbedienza attiva, derivante da una fiducia tanto grande da potersi affidare davvero alle regole. Il controllo e la sorveglianza autoritaria, le disgregazioni partitiche, non portano a questa fiducia necessaria. Per affrontare il futuro, bisognerebbe scegliere una sorta di solidarietà nazionale, per arrivare a scorgere un futuro lungimirante e creativo (relativo al creare), di equilibrio salutare e benefico. Bisognerebbe pensare alla comunità come ad un investimento, come al bene più prezioso che si ha. E parte del cambiamento avviene grazie a tutte le piccole persone che ascoltano e riportano, che elaborano concetti e li volgarizzano.

Questa evoluzione creativa in cui tutto è in movimento – il famoso slancio vitale di cui parlava Bergson – dovrebbe porci sotto un’altra prospettiva: non dobbiamo ripartire, bensì continuare il viaggio. Ci siamo tuffati nell’inesplicabile e incontrollabile vuoto appena nati ed abbiamo costruito la nostra personale strada passo dopo passo. E di certo non abbiamo smesso di proseguire durante la quarantena. Senza timore, ricuciamo quello strappo che abbiamo subìto e causato, valorizzando il fattore umano che ci rende interessanti: lasciare qualcosa agli altri, vivendo la propria vita.

3 Maggio/ COVID-19
Emanuela Martucci
mediaintegrati