Non bisogna avere paura

NON BISOGNA AVERE PAURA

25Aprile/ COVID-19

Tempo di lettura: 3 minuti

Dopo un primo momento di grande spaesamento cresce, come convinzione collettiva, che qualcosa può veramente cambiare, che qualcosa si può veramente fare e non bisogna farsi trarre in inganno o scoraggiare da chi ci dice che il traguardo è inarrivabile, che le cose sono più grandi di noi. 

Non bisogna dimenticare che i traguardi sono punti di arrivo e come tali sono preceduti da tanti piccoli passaggi. Bisogna allora puntare a quelli, concentrarsi su quelle azioni del nostro quotidiano che possono produrre cambiamento, riferirsi al nostro circondario, al nostro ambiente lavorativo, familiare, amicale, intervenire dove il nostro piccolo raggio di azione può produrre positività.

A volte siamo scoraggiati dalle notizie che ci arrivano da ogni parte del mondo, che ci fanno rabbia, che ci fanno sentire impotenti, che limano ed appiattiscono quegli slanci, anche solo mentali, che con fatica cerchiamo di costruire giorno per giorno, che cerchiamo di organizzare, condividere, nel tentativo di portare a frutto un’altra giornata vissuta. Ogni giorno ci sono avvenimenti, pensieri, azioni che ci deviano dai nostri buoni propositi, che ci portano per vie laterali, minori, che ci allontanano dalla via maestra. Paradossalmente è in quelle vie laterali che si lavora meglio, che si trova il terreno fertile, nei controviali del mondo si possono incontrare persone che si ritrovano a pensare con una velocità diversa.

 

Concentrarsi su quelle azioni del nostro quotidiano che possono produrre cambiamento.
Omar Esposito
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Bisogna fare autocritica

Ci governiamo a mezzo di una classe dirigente dalla quale non ci sentiamo rappresentati ma, contemporaneamente, snobbiamo qualsiasi coinvolgimento nella vita politica, e più la snobbiamo e meno ci sentiamo rappresentati. Ma allora mi si potrà dire che credo ancora nella politica?! Sicuramente credo che l’organizzazione e l’amministrazione dello stato e della vita pubblica (che è la definizione etimologica di politica) attenga al cittadino e sia un suo dovere promuoverla e attuarla. Se poi per farlo non ci sia più bisogno di un establishment questo sinceramente non lo so. Mi risulta comunque difficile immaginare, per formazione o età, una società completamente apolitica.

Bisogna essere coraggiosi

Spesso sentiamo dire che un nuovo modello economico non sia possibile perché il mondo ormai viaggia a una velocità tale che qualsiasi cambiamento di rotta sarebbe disastroso e che potrebbe avere ricadute su questo o su quello. Personalmente penso che questa quarantena ci abbia insegnato più di quanto quel mondo che corre abbia fatto finora. Nulla è impossibile, bisogna cominciare a pensare e agire in maniera differente. I modelli economici e culturali arriveranno e si plasmeranno sulle nostre nuove sollecitazioni ed esigenze. Bisogna pensare differentemente e direzionarsi alla ricerca della felicità, con il principio che la nostra felicità è incompleta e inutile senza quella degli altri. Bisogna rischiare, rimetterci qualcosa, ognuno ha la propria parte da fare.

Se da questa esperienza dovessi scegliere una cosa da portare e una da lasciare, insieme a un uso consapevole della tecnologia, che ha del tutto azzerato le paure dello screen time, con me porterei sicuramente il tempo del pensiero che, lontano dai ritmi quotidiani, ho ritrovato. Lascerei dietro di me il silenzio, le discussioni senza il rumore d’ambiente, le risate senza l’audio, i vocii, tutte vittime dell’ordinato ed educato uso del microfono. 

Benché non sia del tutto consapevole della direzione intrapresa, sono molto fiducioso sul nostro futuro (insieme), e per questo gelosamente difendo una mia certezza incrollabile: la felicità è dentro di noi ma sopratutto tra di noi. 

25 Aprile/ COVID-19
Omar Esposito
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Introduzione all’uomo migrante

Introduzione all'uomo migrante

L’attività del conoscere deve essere al tempo stesso un’attività artistica.

21 Aprile/ COVID-19

Tempo di lettura: 5 minuti

“Der erfinder der dampfmachine”
Joseph Beuys, Napoli, 1971 (1)

Da treccani: uòmo (ant. o pop. òmo) s. m. [lat. hŏmo hŏmĭnis] (pl. uòmini [lat. hŏmĭnes]). – 1. a. Essere cosciente e responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini, e come tale soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico: il problema dell’uomo è centrale nella massima parte delle religioni storiche e dei varî sistemi filosofici. Dal punto di vista biologico uomo è il termine con cui sono indicate tutte le specie di mammiferi primati ominidi appartenenti al genere Homo e, in partic., l’unica specie vivente Homo sapiens, caratterizzata da stazione eretta, pelosità ridotta, mani con pollice opponibile che consente la presa di precisione, grande sviluppo del cervello e del neurocranio, che sovrasta la regione facciale; si differenzia inoltre da tutte le altre specie animali per la complessità del linguaggio simbolico articolato, per l’alta capacità di astrazione e di trasmissione di informazioni per altra via che non sia l’ereditarietà biologica (trasmissione culturale). 

Partirò da una frase detta e ripetuta da Joseph Beuys durante le sue interviste, performance e opere: “ogni uomo è un artista”. 

Nell’epoca in cui il mondo si è ricostituito in una nuova Pangea, in cui i continenti sono ormai connessi non solo digitalmente ma proprio fisicamente con l’annullamento delle distanze grazie ai nostri “dispositivi” mobili che annullano la deriva dei continenti, ogni uomo, proprio perché uomo, si muove in maniera creativa inventando il mondo. E artista perché pensa, modella e plasma il mondo, secondo appunto il suo pensiero attraverso le sue azioni. Nel suo lavorìo insomma, come dice Beuys, costruisce il mondo sociale. 

“Una rivoluzionaria presa di coscienza” è lo slogan dell’edizione 2019 di #cuoredinapoli, un laboratorio della scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e assomiglia molto a “la rivoluzione siamo noi” di Joseph Beuys(2) e descrive bene il lavoro che svolge nei quartieri di “periferia di senso” di Napoli, annodando relazioni e costruendo territori comuni, terre condivise, con una consapevolezza in più: la certezza che ogni individualità deve passare per il noi. 

Una Pangea, dicevo, che non è fatta di nessuna misura conosciuta ma di un mondo multidimensionale dove non ha più senso la superficie, l’altezza o la profondità ma solo la capacità di legare insieme relazioni e snodi dove far fluire pensieri, azioni e modalità comuni. 

Perfino in questo momento, colpiti da una pandemia che ci limita negli spostamenti e negli affetti si registra una ulteriore proliferazione dei rapporti anche se sotto la forma digitale. 

E gli artisti da sempre si misurano con la forma. E con il contenuto. 

In questo contesto l’urgenza da parte di taluni, tra cui chi scrive, è di mettere in crisi l’idea dell’artista come il creatore, unico possibile, detentore della visione ultima e ritornare alla funzione sociale proponendosi come agglomeratore o come acceleratore della dimensione pubblica e sociale. 

il disorientamento umano in questo momento in cui non abbiamo le idee chiare alimenta le paure ma sta nascendo un’altra consapevolezza che riconosce l’interdipendenza e il primato dell’azione collettiva. 

Infatti, nonostante chiusi nei nostri appartamenti, siamo diventati, tutti, un popolo di migranti che si stanno spostando in massa da un mondo ormai devastato che sta spingendo l’intera umanità drammaticamente, come solo una migrazione può fare, nel mondo nuovo. 

La trasmissione culturale di cui parla la Treccani associata all’uomo e alla sua abilità “… capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i propri fini, e come tale soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico…” sono gli strumenti a cui dobbiamo fare ricorso ancora una volta ma, questa volta, agendo con oculatezza alla luce delle esperienze che, come specie, ormai abbiamo acquisito. 

L’ uomo migrante che crea “sculture” fatte di una materia i cui componenti sono tenuti assieme da una sostanza immateriale, la relazione, si propone di sondare e praticare modalità che facciano dialogare il soggetto con la collettività e che spostino finalmente l’attenzione da “l’oggetto” artistico semplice veicolo commerciale alla vera funzione dell’arte che è sempre stata legata alla crescita della collettività, ora nel nuovo millennio, attraverso un’intelligenza “connettiva” come la definisce Derrick de Kerckhove(3) (parafrasando “l’intelligenza collettiva” di Pierre Levy(4)), che trovi nel modello della rete e dei bit quei meccanismi che riprodotti nel mondo degli atomi getti le basi per la costruzione di un’umanità plurale ma connessa a livello planetario. 

Noi migranti del nuovo millennio ci porteremo nella nostra valigia alcune consapevolezze: 

Per esempio adesso sappiamo che, a quelle leggi che regolano il mondo, noi non possiamo sottrarci. 

Per esempio adesso sappiamo che la tecnologia ci aiuta, per esempio in un periodo di pandemia, ma non sostituisce le relazioni umane, quelle fisiche dell’incontro. 

Per esempio adesso sappiamo che l’operosità del fare rende dignità all’uomo e in qualche modo lo spiega. Spiega ad ogni uomo la sua missione e gli da un senso il suo attraversare il mondo. 

Per esempio adesso sappiamo che abbiamo bisogno di metterci insieme per cambiare il mondo e che il mondo con un’operazione collettiva si può indirizzare verso pratiche più consapevoli nell’ambiente che ci circonda spingendo i governanti a fare la cosa giusta. 

Per esempio sappiamo che le competenze devono essere mischiate, che non è possibile far prendere decisioni ad un solo individuo o ad una sola regione o ad un solo stato. 

Per esempio sappiamo che abbiamo voglia di cambiarlo questo mondo a partire dal sogno, dalla visione, dalla speranza, dall’ambizione che un’utopia è possibile. La creazione di un sol popolo e di una sola terra. 

Per esempio adesso sappiamo che “il diritto acquisito” ad una vita molto sopra le possibilità, di una parte dell’umanità in percentuale molto piccola, come quella del secolo scorso è insostenibile. Il diritto a depauperare l’80 per cento delle risorse della terra da parte del 30 per cento della popolazione è un crimine. 

Per esempio adesso sappiamo che dobbiamo salvare il pianeta e che gli strumenti o meglio le regole o meglio i comportamenti, ci sono, sono possibili e auspicabili. 

La creatività dell’uomo, per tornare a Beuys, adesso non potrà fare a meno delle lezioni che ci vengono dal novecento, dall’esperienza che come “specie” abbiamo sperimentato e facendo tesoro degli errori commessi portarsi, nella valigia del nostro vissuto, anche quella cosa che non è mai stata superflua: la macchina a vapore. Il nostro cuore. 

21 Aprile/ COVID-19
Franz Iandolo
Coordinatore del corso

1) “Der erfinder der dampfmachine” – Joseph Beuys, Napoli, 1971 

2) “la rivoluzione siamo noi” – Joseph Beuys, Napoli, 13 nov 1971, galleria Amelio 

3) Connected intelligence: the arrival of the web society, Derrick de Kerckhove, Somerville House Publ., Toronto, 

1997 

4) L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio”, Pierre Levy, Feltrinelli 2002